2014 - Studio ATA AF, esiti dei pazienti affetti da fibrillazione atriale


La fibrillazione atriale è l’aritmia di più frequente riscontro nella pratica clinica con una prevalenza stimata tra l’1.1% e il 2.5% in costante aumento. Si associa a un rischio aumentato di mortalità ( circa doppio rispetto a quello dei soggetti non-affetti ), di eventi tromboembolici ( di circa 5 volte maggiore rispetto a quello dei soggetti sani ) e di scompenso cardiaco indipendentemente dalla coesistenza di cardiopatia.

Uno studio ha analizzato la gestione nel mondo reale e l’esito di una coorte italiana di pazienti affetti da fibrillazione atriale non-selezionati seguiti per 12 mesi.

L’analisi è stata condotta nell’ambito dello studio prospettico osservazionale multicentrico ATA AF ( Agenti Antitrombotici nella Fibrillazione Atriale), che ha arruolato 7148 pazienti con fibrillazione atriale, afferenti a 164 Cardiologie e a 196 reparti di Medicina Interna rappresentativi in termini di distribuzione geografica della realtà ospedaliera italiana.

Sono stati analizzati i dati di follow-up di 1368 pazienti ( 59.2% soggetti ospedalizzati, 40.8% soggetti ambulatoriali ).

Sono stati seguiti per 12 mesi 1368 pazienti affetti da fibrillazione atriale ( permanente nel 48.2% dei casi, persistente nel 26.2% dei casi, parossistica nel 21.4% dei casi ), per il 54.8% maschi, con una mediana di età di 76 anni.

Nel 72.3% dei pazienti arruolati la fibrillazione atriale era non-valvolare era associata a un punteggio CHADS2 maggiore o uguale a 2 nel 61% dei casi.

Il 23% dei pazienti presentava un elevato rischio emorragico ( HAS-BLED modificato, senza INR labile, maggiore o uguale a 3 ).

Un precedente evento tromboembolico era riportato dal 13.9% dei pazienti, un precedente evento emorragico dal 4.3% dei pazienti.

I soggetti arruolati presentavano inoltre: scompenso cardiaco / disfunzione ventricolare sinistra ( frazione di eiezione del ventricolo sinistro inferiore a 40% ) nel 27.3% dei casi, coronaropatia nel 19.4% dei casi, deficit cognitivo nel 4.1% dei casi.

Una terapia per il controllo del ritmo cardiaco è stata prescritta nel 31.8% dei pazienti, mentre un trattamento per il controllo della frequenza di risposta ventricolare nel 49.1% dei pazienti.

La terapia anticoagulante orale ( TAO ) con antagonisti della vitamina K è stata prescritta nel 67.5% dei pazienti, mentre un altro trattamento antitrombotico ( antiaggregante ) nel 27.1% dei pazienti.
L’INR medio dei pazienti in TAO è risultato 2.3±0.6.

Nell’analisi multivariata sono risultati predittori di tromboembolismo il punteggio CHADS2 maggiore o uguale a 2 ( p inferiore a 0.05 ), l’HAS-BLED modificato maggiore o uguale a 3 ( p inferiore a 0.05 ), un precedente evento tromboembolico ( p inferiore a 0.01 ) e la presenza di deficit cognitivo ( p inferiore a 0.01 ).

Dallo studio è emerso che i pazienti con fibrillazione atriale presentano un elevato tasso di mortalità e di ospedalizzazione, secondaria nella maggioranza dei casi a scompenso cardiaco.
Anche in una popolazione realworld ( mondo reale ) di pazienti anziani affetti da fibrillazione atriale il rischio tromboembolico è risultato maggiore del rischio emorragico.
È pertanto auspicabile un maggiore utilizzo della terapia anticoagulante orale, anche grazie alla disponibilità dei nuovi anticoagulanti orali. ( Xagena_2014 )

Riva L et al, G Ital Cardiol 2014; 15: Suppl 2 al N 4

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